Lo sviluppo emotivo nel bambino è un percorso di acquisizione, di cambiamento di modalità di espressione e di regolazione delle emozioni. Avviene intersecandosi con lo sviluppo sociale e cognitivo ed è inscindibile dallo sviluppo delle emozioni.
Fasi dello sviluppo emotivo
Secondo l’approccio funzionalista (Campos, 1983; 1984; 1987) le emozioni regolano il rapporto individuo-ambiente. L’organizzazione delle emozioni sarebbe presente nei neonati in forma rudimentale fin dai primi giorni di vita e tutte le sue componenti si svilupperebbero successivamente, diventando più complesse, differenziate e regolate.
Vediamo come ciò avviene.
0-2 mesi
Le reazioni emotive innate sono regolate da processi biologici fondamentali per la sopravvivenza. Sono appropriate al contesto e facilmente riconoscibili, come piacere e disgusto a livello gustativo e protezione da stimoli luminosi o acustici intensi. Queste però sono prive di valore comunicativo intenzionale.
2-12 mesi
Grazie all’interazione sociale il bambino inizia a comunicare le proprie intenzioni e ad attuare le prime forme di controllo emozionale. Emergono così le emozioni con valore comunicativo: il sorriso sociale (in risposta alla voce di persone familiari), la sorpresa di fronte a stimoli nuovi, la paura (5-7 mesi) in relazione ai progressi nella capacità di locomozione. E’ in questa fase che si nota anche la paura dell’estraneo (8-9 mesi) in presenza di un legame affettivo col caregiver.
2° anno

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Con il raggiungimento della consapevolezza di sé e attraverso il riconoscimento della propria immagine, il bambino ora ha la possibilità di sperimentare le prime emozioni sociali. Questo avviene quando iniziano ad affiorare imbarazzo, invidia e gelosia, le cosiddette emozioni esposte (Lewis, 1992). Esse richiedono che si rivolga l’attenzione su se stessi, esponendo il proprio Sé allo sguardo proprio o altrui. Un’emozione sociale molto particolare è l’empatia (etimologicamente: rapporto con il dolore), ovvero il saper entrare in sintonia con i sentimenti degli altri.
Ci sono poi le emozioni autocoscienti valutative, ovvero orgoglio, senso di colpa e vergogna. Sono emozioni che hanno origine da un confronto tra un proprio comportamento e le norme sociali.
Il Sé e gli adulti nello sviluppo emotivo
Lo sviluppo emotivo è possibile grazie all’interazione delle dimensioni cognitive, percettive e motorie del bambino con il proprio Sé.
Si può definire il Sé come la totalità delle componenti psichiche individuali che permettono di fare proprie le esperienze esterne.
Questo tema è stato affrontato da vari studiosi, tra i quali George Herbert Mead (1863-1931). Secondo Mead, nello sviluppo della propria dimensione emotiva e nel processo di costituzione dell’immagine di sé, il bambino è fortemente influenzato dalle rappresentazioni che gli adulti gli trasmettono nella vita quotidiana.
In altre parole gli adulti, con le loro reazioni emotive, fanno da specchio per il bimbo. Di conseguenza il sentimento di autostima, ad esempio, che il bambino maturerà nel tempo altro non è che il risultato della considerazione che gli altri hanno di lui (avevamo già parlato di autostima e concetto di Sè in questo articolo). Questo modello di formazione del Sé dovrebbe far riflettere sull’importanza che rivestono le figure genitoriali nella formazione dell’identità.
Il ruolo dell’adulto

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Nel primo anno di vita il ruolo del caregiver consiste nel dare significato alle esperienze positive e negative del bambino, rispondendo a pianti e a sorrisi.Nel periodo poi che intercorre tra il compimento del primo e del terzo anno di vita, il bambino inizia a manifestare condotte di evitamento di situazioni indesiderate, ricerca attiva di persone e situazioni, richiesta di contatto e vicinanza.
È una fase in cui entra in gioco il riferimento sociale, ovvero le persone significative diventano risorse per interpretare e valutare le situazioni.
L’adulto ha il compito di modulare le risposte emotive del bambino e di sostenerlo durante esperienze emotive molto intense.
La “regola” è essere coerenti, sempre, sia a livello di comunicazione verbale sia di comunicazione non verbale.
Stile emotivo genitoriale
Dalla letteratura emergono due stili emotivi genitoriali: coaching e dismissing (Gottman et al, 1997). Vediamo le differenze.
- Coaching: implica essere consapevoli e accettare le emozioni del bambino, aiutandolo a dare un nome alla propria esperienza emotiva. L’adulto si pone in modo tale da insegnargli come affrontare le emozioni intense, confortandolo in caso di necessità. È un adulto capace di tollerare il trascorrere del tempo con un bambino triste, arrabbiato o impaurito senza diventare a sua volta nervoso o impaziente.
- Dismissing: implica timore di non saper controllare la situazione. Di base c’è una scarsa conoscenza di modalità per incanalare le emozioni negative nel bambino e prevale la tendenza ad ignorare o respingere tali emozioni, ricorrendo alla minimizzazione/svalutazione dell’esperienza emotiva. Emerge così la tipica rassicurazione “i sentimenti negativi passeranno velocemente e senza lasciare effetti”.
Competenza emotiva
Essere emotivamente competenti significa quindi saper utilizzare le emozioni come strumenti di adattamento sociale. Implica saper manifestare esternamente gli stati emotivi (espressione), capire la natura, le possibili cause e le strategie di regolazione delle emozioni (comprensione) e saper monitorare e modificare le proprie reazioni emotive. La competenza emotiva perciò riguarda tutte quelle abilità necessarie per essere e sentirsi auto-efficace negli scambi relazionali che elicitano emozioni.
Avere skills necessarie per essere, o diventare, emotivamente competenti non è scontato. Proprio per questo vi propongo di intraprendere insieme un viaggio nel mondo delle emozioni!
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