Lunedì 4 Maggio 2020, inizio della tanto attesa fase 2.
In questi mesi abbiamo dovuto affrontare tanti cambiamenti, tra cui il più importante: la fatica del confinamento.
La preoccupazione costante è quando potremo e come potremo tenerci non più a distanza.
Il problema è che al momento più ci avviciniamo, più siamo a rischio per noi e per gli altri.
E in tanti sentiamo di non farcela più.
Cosa ci sta succedendo nella fase 2?
Ora più che mai emerge l’importanza di concepire la salute come termine che non si riferisca solo alla dimensione del corpo, ma anche a quella psichica e a quella relazionale.
È subentrata la fase della fatica a reggere il tempo prolungato nel confinamento. È una fatica nuova, mai sperimentata prima d’ora tutti insieme. È una fatica perché l’uomo è un essere sociale, ha bisogno degli altri. Per cui il confinamento, che è una condizione di restrizione di un aspetto psichico chiamato spazio di libero movimento psicologico, ora inizia a starci stretto perché siamo saturi.
La fatica del confinamento: essere saturi
Il concetto di saturazione indica la sensazione di essere colmi. La psicologia spiega che essa determina avversione emotiva verso situazioni che si prolungano e perdurano troppo nel tempo. Ha quindi a che fare con la durata e la resistenza a ciò che ci colma.
Se siamo saturi, siamo nervosi, tesi, sentiamo di non farcela più. Ci sentiamo nella condizione di cedere, volendo andare contro ciò che ci fa sentire colmi.
Questo non si limita allo spazio mentale perché, come spiega Kolher nella sua teoria dell’isomorfismo psicofisico, tutto ciò che accade nella nostra mente si manifesta in isomorfismo in tutte le funzioni del corpo. Ed ecco che si manifesta la saturazione anche nel corpo, attraverso reazioni muscolari, infiammatorie, intestinali.
Se da un lato però l’antagonismo insito nella saturazione ci sfinisce, dall’altro ci fa diventare reattivi per combattere e opporci a ciò che ci sta riempiendo. Ci porta a sopportare fino al culmine quello che stiamo vivendo.
Come modificare la fatica del confinamento?
Se restiamo fermi, ci blocchiamo nella capacità di gestione di ciò che ci rende saturi. Rimaniamo insoddisfatti senza trovare soluzione. Per essere soddisfatti, dobbiamo cercare di modificare ciò che ci strugge dentro e determinare dinamiche che facciano cambiare noi stessi e il limite.
Modificare la saturazione implica perciò interrompere il tempo, il cosa e il come determina questa sopportazione fino al culmine. Modificare la saturazione implica passare dalla saturazione alla pienezza.
La saturazione è essere colmi di qualcosa che si sopporta; la pienezza è essere colmi di qualcosa che ci soddisfa, in cui io sono in propensione emotiva verso ciò che mi colma. La saturazione ci sfinisce, la pienezza ci nutre.
L’occasione nella pandemia
Riprendendo il pensiero di Jung, gli esseri umani dovrebbero capire che la propria vita, per essere pienamente realizzata, non ha bisogno della perfezione ma della pienezza. E per godere della pienezza è indispensabile ricordare sempre che non c’è luce, senza comprendere che ci sia buio. Ogni condizione ha questa manifestazione necessaria di due poli opposti.
Ecco quindi l’occasione che questa pandemia sta lanciando a ciascuno di noi: provare a sentirci colmi di ciò che siamo nel qui ed ora, una pienezza da co-costruire con una consapevolezza individuale sentendoci soddisfatti. Ci è data l’opportunità di essere resilienti, non come resistenza contraddittoria, ma come capacità duttile di fare come le ginestre di Leopardi. Queste sono capaci di seguire i venti e ottenere la maggiore possibilità di sopravvivenza, anche nelle situazioni di maggiore avversità.
Oggi ci vengono richieste, a livello di salute psichica, lucidità e maturità.
Ognuno di noi deve e dovrà cercare di equilibrare il fattore di rischio d’incontro con altri e il bisogno di stare con gli altri. Cerchiamo di far prendere respiro alla salute psichica e sociale, nel rispetto di quella fisica. Per rispetto di sé e degli altri. Abbiamo il dovere della responsabilità, in quanto membri di una società in cui la malattia di uno diventa rischio per tutti, compresi noi stessi.
Un esercizio per coltivare la gratitudine e sentirsi più felici
I risultati scientifici supportano l’ipotesi che coltivare la gratitudine modifichi l’attività cerebrale, rinforzando anche a livello neuronale la capacità di sperimentare gratitudine: in pratica, più ci si allena a sentirsi grati, più la sensazione di gratitudine si presenterà spontaneamente in futuro.
Questo risultato incoraggiante deve motivarci a impegnarci in un gratificante allenamento alla felicità.
Un esercizio utile in questo allenamento è il “diario della gratitudine”.
Consiste nell’annotare su un quaderno, a cadenza regolare, una lista di eventi e cose positive che si sono apprezzate nel corso della giornata, soffermandosi anche sulle cose più semplici e ordinarie: un pasto gustoso, una mia abilità. Una sfida superata, l’aiuto ricevuto da qualcuno, qualcosa che ci ha sorpreso. Nell’immagine è possibile vedere un esempio di pagina del diario, con domande stimolo.
Al seguente link è possibile vedere un esempio di pagina del diario della gratitudine.
Proviamo ogni giorno a fare il passaggio dal non farcela più al coraggio di riprovarci ancora, cogliendo la luce che c’è in ogni momento.