Nell’articolo precedente si è detto che il mosaico presenta quattro tecniche principali: romana, bizantina, moderna, contemporanea. Oggi parleremo del mosaico romano pavimentale, della sua tecnica e di uno dei mosaici romani più importanti.
Tecnica romana
Questa tecnica presenta una superficie piana, in quanto prettamente pavimentale. Le tessere sono quadrangolari, separate da fughe e realizzate direttamente sul posto (opus tessellatum). In questi mosaici ricorrono soggetti storici, mitologici, naturalistici, geometrici e decorativi.
I pavimenti romani

Particolare del pavimento della Basilica di Aquileia
Il termine pavimento deriva dal latino pavimentum, “superficie di terra battuta, selciato, lastricato” che a sua volta derivata da pavire – battere il terreno, livellare, spianare.
I pavimenti sono descritti da Plinio, nella “Naturalis Historia“, e da Vitruvio, nel “De Architectura”, i quali citano i pavimenta unitamente alle arti musive.
Chi coordinava le fasi del lavoro?
Secondo Vitruvio, nel “De Architectura”, era l’architetto che, sin dall’origine della costruzione, doveva prevedere l’organizzazione delle fondamenta per gli ambienti che dovevano ospitare i mosaici. La pavimentazione musiva richiedeva tre diverse stratificazioni di materiali.
Strati convenzionali di base di un pavimento a mosaico

Strati convenzionali di base di un pavimento a mosaico
Sulla terra battuta e sabbia bagnata, si stende un primo strato, statumen, di ciottoli posti in verticale, o ghiaia o elementi in cotto senza legante tra di loro.
Segue il rudus, secondo strato di sassi più piccoli, ghiaia, frammenti grossolani di coccio o mattone, calce e pozzolana (mondo romano) o terra di Santorini (mondo greco).
Infine, il terzo strato, il nucleus, costituito da sabbia, polvere di mattone, frammenti di cotto, pozzolana e calce, e polvere di marmo.
Il supranucleus invece è la miscela di calce che riempie le fughe tra le tessere.
Sull’ultimo strato, può esserci una traccia del soggetto, la sinopia, in ocra rossa o polvere di carbone (eseguito dal pictor imaginarius). Il disegno, inciso da strumento a punta, può essere rinforzato nel contorno, da lamelle di piombo o argilla cotta.
Ma è sempre così?
Il numero di strati però può variare, ma si tende sempre a partire dal più grossolano in basso, verso il più fine in alto. In effetti però, da alcuni restauri, si evince che all’interno dello stesso edificio, possono essere presenti diverse tipologie di preparazione del pavimento musivo, quindi con strati diversi da una stanza all’altra.
Per aumentare la resistenza all’usura e l’impermeabilità, si inserivano a fondo battuto o tra le tessere, scaglie irregolari di pietra o marmo (scutulae – opus scutulatum).
Cosa sono gli Emblemata?

Emblema delle “colombe che si abbeverano”. Mosaico trovato presso la Casa delle colombe a Pompei e attualmente situato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Fonte immagine: https://cdn.pixabay.com/photo/2020/03/18/02/31/napoli-4942422_960_720.jpg
L’immensa quantità di opere d’arte che giungono alla fine del II sec a.C., a Roma dalla Grecia e dall’Egitto, contribuisce a far conoscere gli Emblemata.
Gli Emblemata (Emblema al singolare) sono dei piccoli pannelli in mosaico, inseriti in pavimenti di più grande estensione.
A volte però raggiungono misure molto notevoli, il più grande, maestoso ed importante è, senza dubbio, il mosaico romano: “mosaico di Alessandro”, meglio conosciuto come “La Battaglia di Isso”.
Essi vengono realizzati con la tecnica dell’opus vermiculatum, tecnica del mosaico romano, con tessere piccolissime-millimetriche, che porta ad avere una lavorazione molto stretta, imitando la pittura da cavalletto. Gli Emblemata, a differenza degli opus tessellatum, vengono realizzati in laboratorio su un supporto di pietra o ardesia o marmo o terracotta con ingombro di 50/60 cm di lato. Tra i mosaicisti che realizzano Emblemata troviamo: Soso di Pergamo, Dioscuride di Samo e Filosseno di Eretria.
Attualmente non si conosce ancora con esattezza il centro di produzione degli Emblemata, rinvenuti in un’area molto estesa: Delo, Tolemaide, Leptis Magna, Agrigento, Roma, Ostia, Tivoli, Pompei, Chiusi…, né l’inizio della loro produzione.
Il mosaico di Alessandro

“Mosaico di Alessandro” o “Battaglia di Isso” conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (fonte Magrippa presso: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/0d/Issus_-_Alexander.jpg/800px-Issus_-_Alexander.jpg)
Rinvenuto il 24 Ottobre del 1831 presso una pavimentazione della Casa del Fauno a Pompei, è una copia romana della fine del II sec a.C. di un quadro ellenistico di Filosseno di Eretria. Dal 1843 è conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. È realizzato con la tecnica dell’opus vermiculatum, il quale ha consentito di rendere con accuratezza tutti gli effetti di luminosità, i trapassi di colore, i particolari delle armature, dei volti e degli stati d’animo. Il tutto creato nei minimi dettagli.
È costituito da circa 1 milione di tessere. È lungo 5.82 m. e largo 3.13 m. e raffigura lo scontro tra il re macedone Alessandro Magno, in sella al suo Bucefalo e il re di Persia Dario III sul carro da guerra, durante la battaglia di Isso nel 333 a.C.
La scena può essere divisa in tre momenti: attacco, mischia e fuga.
Viene raffigurato il momento “clou” della battaglia, la scena è prorompente: Alessandro Magno con uno sguardo fiero e calmo, è sicuro di avere la vittoria in pugno e infatti ad averla vinta sarà proprio lui! Non distoglie il suo sguardo da Dario III, e come lui, sembra lo faccia anche la Medusa raffigurata sulla sua armatura. Lo sguardo di Dario III invece è preoccupato e rassegnato, in quanto consapevole delle perdite che ci saranno in seguito all’imminente sconfitta del suo esercito.
Tra i due, si interpone un cavaliere che cerca di rallentare la corsa di Alessandro: si tratta, forse di un fratello di Dario III, il quale però viene trafitto dalla lancia scagliata dal re macedone.
Le lance, l’affollamento di uomini e cavalli evocano il frastuono della battaglia. Il momento della fuga è rappresentato dal cavallo nero impaurito che ha perso il suo cavaliere.
Si nota un particolare molto d’impatto: sulla destra, il volto di un soldato persiano riflesso nel suo scudo mentre sta per morire, schiacciato dal carro del suo re.
Siamo sicuri che sia effettivamente la Battaglia di Isso?
La chiave interpretativa che fa risalire alla battaglia di Isso questo mosaico romano, è l’elemento paesaggistico presente: l’albero secco. Esso, situato sulla sinistra e dietro ad Alessandro, è spoglio e scarno. Questa battaglia infatti, è ricordata anche come “la Battaglia dell’albero secco”.
Se volete ammirarlo virtualmente e sentire le parole accurate di Alberto Angela, raccontate in una puntata di “Ulisse”, cliccate qui. (potete ammirarlo dal minuto 1:00:53)
Fonte immagine di copertina: Magrippa https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/0d/Issus_-_Alexander.jpg/800px-Issus_-_Alexander.jpg
Foto presenti nell’articolo: Chiara D’Alfonso e https://cdn.pixabay.com/photo/2020/03/18/02/31/napoli-4942422_960_720.jpg