Christo Vladimirov Javacheff, l’artista che impacchettava la storia, è morto nella giornata di ieri per cause naturali. Le sue opere rivoluzionarie e dal forte impatto hanno, non solo impressionato, ma rifondato l’idea di arte.
“Christo ha vissuto la sua vita nel modo più pieno, non solo sognando ciò che sembrava impossibile, ma realizzandolo.” Con questo messaggio, l’ufficio referente di Christo Vladimirov Javacheff rende noto il decesso dell’artista, avvenuto a New York.
Chi era Christo Vladimirov Javacheff
Un uomo combattivo, dal carattere ostinato e testardo che ha fatto dell’idea di libertà la prerogativa della sua vita. Si, perché per ottenerla ha dovuto lottare fin da subito.
Nato a Gabrovo, in Bulgaria, dopo gli studi compiuti all’Accademia di Sofia, si trasferisce a Praga. Sarà, però, costretto a scappare dal regime del blocco comunista, insediandosi dapprima in Austria, e a seguito di vari spostamenti, a Parigi.
Nella capitale francese inizierà la carriera, cercando di sbarcare il lunario compiendo ritratti. E proprio la commissione di uno di essi, gli regalerà l’amore della vita, Jeanne-Claude Denat de Guillebon. Un’unione non solo sentimentale, ma anche artistica, che porterà la coppia a realizzare progetti di ampio respiro in tutto il mondo. Fino alla morte della moglie, avvenuta nel 2009, per le complicazioni di un aneurisma cerebrale.
La libertà come prerogativa
“Sono scappato per dar vita alla mia arte individuale. Ho fatto tutto questo per essere totalmente libero. Non volevo essere legato a niente e a nessuno. Sono stato educato dal marxismo e ho usato il sistema capitalistico per guadagnarmi la libertà.”
Christo, nel suo percorso artistico, ha sempre rivendicato l’essere libero, slegato dai vincoli che una committenza impone. Ha comprato la sua indipendenza, investendo i proventi ricavati dalla vendita dei suoi disegni, nella realizzazione delle sue visioni. Scevro da compromessi, si è sempre sottratto alle regole del mercato.
Gli anni 60 e i Land-artisti
Il rifiuto del concetto di autorità è un tema condiviso dai Land-artisti. Non un vero movimento, ma un insieme di fanatici della natura, che rifondano l’idea di società.
Nel clima di confusione post Seconda Guerra Mondiale e sviluppo tecnologico degli anni 60, la Land Art trova terreno fertile. I suoi esponenti intervengono sulla natura, imprimendola con segni marcati, testimonianza del loro passaggio.
Usano lo spazio, talvolta basandosi sul concetto di negazione, dispersione, talvolta di sostituzione. Segni macroscopici nel paesaggio. Non più arte rilegata a spazi espositivi tradizionali, ma il mondo come tela su cui disegnare. Sono questi i metodi applicativi condivisi dai Land-artisti, a cui Christo aderirà una volta trasferitosi negli Stati Uniti.
Le opere
Christo sogna in grande, è un visionario che con le sue installazioni trascende i limiti della pittura, scultura e architettura tradizionali. E’ l’autore di interventi temporanei, ma sconvolgenti, calati in contesti quotidiani. Così crea, ad esempio, il Running Fence, una recinzione lunga 40 km a nord di San Francisco. Servendosi di una serie di ampi teloni di nylon bianco, sostenuti da montanti metallici, plasma un serpente che viaggia tra i colli. Quando il vento gonfia i teli, l’animale sembra animarsi, emettendo un verso. Fu terminato dopo quattro anni, ma l’opera rimase in vita solo quattordici giorni.
Celebri sono gli impacchettamenti con teli e corde, tra i più noti quello del Reichstag tedesco, il Wrapped Reichstag o del Pont Neuf a Parigi, nel 1985.
In California, diede vita ad Umbrellas, prevedendo migliaia di ombrelli che invadessero una valle intera. Lo stesso fece in Giappone, con ben 1340 ombrelli blu alti sei metri.
Le realizzazioni in Italia
In Italia, il progetto più memorabile risale al 2016, sul Lago d’Iseo. Realizzò, affiancato da un team di professionisti, (ingegneri, operai sub, piloti) una lunghissima passerella gialla. Essa offriva una possibilità unica: camminare sull’acqua. Oltre un milione i visitatori presero d’assalto il lago lombardo, apportando un notevole impatto economico.
Il Floating Piers ha innescato una rivoluzione, permettendo all’osservatore di ammirare un paesaggio con occhi diversi e coinvolgendo il visitatore stesso in un’esperienza da vivere in prima persona. Un successo inimmaginabile, che ha condotto alla produzione di un docu film, narrante le sfide affrontate e il backstage della realizzazione. (Qui il video della realizzazione)Nel film emergono le limitazioni da fronteggiare, la piccolezza dell’area ad esempio, e conseguentemente, i problemi logistici. (Infrastrutture non adeguate alla mole di persone previste e al trasporto dei materiali necessari). Per quello che si è rivelato un evento senza precedenti, era stata chiesta dapprima l’autorizzazione in Argentina e Giappone, che fortunatamente per l’Italia, la negarono. (Qui il trailer del film)
Non fu solo il Lago d’Iseo ad attrarre l’attenzione di Christo. Nel 1968 il bulgaro scelse Spoleto, o meglio la Fontana di Piazza del Mercato e il Fortilizio dei Mulini. Si servì di propilene bianco e corde per impacchettare il tutto, per tre settimane. Nel 1974 fu la volta di Roma e della Porta Pinciana, dove procedette analogamente (Wrapped Roman Wall). Ed infine Milano con la statua equestre di Re Vittorio Emanuele II in piazza Duomo e il monumento a Leonardo da Vinci in piazza della Scala.
L’artista ha, più volte, affermato che ogni progetto abbia costituito un viaggio della sua vita, e la meraviglia sta nel vedere, con i propri occhi, la compiutezza di uno schizzo iniziale. Combattere la burocrazia e poter ridisegnare il mondo, anche solo per un brevissimo lasso di tempo, è il manifestarsi della libertà. E allora perché non sognare in grande?
“La bellezza, la scienza e l’arte trionferanno sempre”.
PHOTO: Matthias Rabbe da Pixabay