Un altro pezzo d’Italia oggi riparte, quattro milioni e mezzo di cittadini torneranno a lavorare.
Seppur tra mille incognite e problemi da risolvere inizia la fase 2.
Gli scontri tra governi, nel governo, tra governo e governatori hanno alimentato una situazione già di per sé caotica.
Quel che è certo è che “il liberi tutti” non ci sarà e che la riapertura sarà lenta, graduale e condizionata dai vari indici che misurano la diffusione del contagio.
Mettendo da parte per un attimo le polemiche, voglio proporvi invece una riflessione sull’indifferenza e sulla sofferenza, attraverso il punto di vista di due scrittori del secolo scorso che per la loro attualità possono aiutarci a comprendere meglio ciò che purtroppo ancora accade attorno a noi: il poeta britannico W.H. Auden e la scrittrice Simone Weil.
W.H. Auden descrive in “Musèe des Beaux Arts” l’indifferenza del mondo verso il dolore altrui e per farlo si serve della forza espressiva di uno dei dipinti di Pieter Bruegel il Vecchio: la Caduta di Icaro.
Pieter Bruegel il Vecchio, La Caduta di Icaro
Pieter Bruegel il Vecchio, La Caduta di Icaro (1558).
Olio su tavola (73,5×112 cm). Museo reale delle belle arti del Belgio, BruxellesIl pittore olandese dà un’interpretazione del tutto originale del mito di Icaro. La vicenda occupa una posizione marginale all’interno del dipinto: dell’eroe vediamo spuntare solo le gambe, in basso a destra vicino la nave. Una delle più grandi tragedie della mitologia si consuma tra l’indifferenza generale, mentre tutti sembrano continuare per la propria strada, immersi nelle loro vicende, in una giornata soleggiata. (Una descrizione più approfondita dell’opera la potete trovare qui.)
Per Auden nulla è assoluto, cambiando punto di vista qualsiasi valore può essere rovesciato. In altre parole, ciò che può essere importante per noi talvolta è indifferente per gli altri.
Ma davanti all’orrore, è possibile restare indifferenti?
La scrittrice francese Simone Weil in “La persona e il sacro” attraverso l’impeto della sua prosa mostra come alcuni avvenimenti possano scuotere l’essere umano nel profondo, mettendo tragicamente in luce la solitudine di chi soffre.
“Per questo lo spettacolo della nuda sventura causa all’anima lo stesso moto di ritrazione che l’approssimarsi della morte causa alla carne.
Si pensa ai morti con pietà quando semplicemente li si evoca, o quando si va presso le loro tombe, o quando li si vede dignitosamente composti su di un letto. Ma la vista di certi cadaveri che appaiono come abbandonati su un campo di battaglia, con un aspetto insieme sinistro e grottesco, causa orrore. La morte appare nuda, priva di ogni veste, e la carne rabbrividisce.
Quando la distanza materiale o morale permette di vederla solo in modo vago, confuso, senza distinguerla dalla semplice sofferenza, la sventura ispira alle anime generose una pietà tenera. Ma quando un concorso qualsiasi di circostanze fa sì che da qualche parte si trovi improvvisamente messa a nudo, come qualcosa di distruttivo, una mutilazione o una lebbra dell’anima, si rabbrividisce e si arretra. E gli stessi sventurati provano il medesimo fremito d’orrore davanti a sé stessi.
Ascoltare qualcuno significa mettersi al suo posto mentre parla. […] Ma gli sventurati sono quasi sempre altrettanto sordi l’uno nei confronti dell’altro. E sotto la costrizione dell’indifferenza generale, ogni sventurato cerca, con la menzogna o l’incoscienza, di rendersi sordo nei confronti di sé stesso.”
Anche questa volta, almeno all’inizio, in tanti si sono voltati dall’altra parte, cercando di negare il male o di pensarlo altrove. Finchè non ci è apparso davanti agli occhi con tutta la sua violenza. Tanto resta ancora da fare, ma esempi concreti di solidarietà non sono tuttavia mancati, facendo breccia nel muro dell’indifferenza. Essi sono partiti spesso dal basso, lontano dai raggi del sole. Lì dove invece si inerpica una falsa retorica dalle ali di cera.